Condivido con voi due parole su quelle che sono le linee guida che cerco di adottare parlando con qualcuno che non fa attivamente politica. Mi permetto di farlo perché mi sono avvicinato alla politica pressoché solo all'università. Forse proprio per questo in più momenti ho percepito alcune forme di comunicazioni più come autoreferenziali e retoriche che coinvolgenti e convincenti (chiaramente con le dovute eccezioni ma, in parte sempre un po' percepibile il 'tono da collettivo'). Non fossi d'accordo con ciò che fanno i collettivi di cui ho fatto parte e con cui ho piacere a dialogare non sarei qui, non ci credessi fermamente non scriverei quanto sia importante far sì che queste comunicazioni siano efficaci. Mi perdonerete in anticipo se alcuni discorsi saranno tagliati con l'accetta. Penso, senza troppe remore, si possa dire che in questi anni i collettivi (e quindi anche tematiche trattate da questi) non siano stati in un periodo particolarmente florido, e le piazze non così piene. E troppo spesso le dinamiche dei gruppi politici ti portano a percepire chi non la pensa come te come uno stronzo (persino quando fa parte di un altro gruppo politico) e anziché appianare le divergenze e far tesoro delle differenze (così come lo predichiamo in piazza parlando di razzismo e teorie gender) Credo sia vitale soffermarsi sul periodo in cui ci troviamo, in cui la comunicazione è un pilastro fondamentale e, purtroppo, più nella forma che nei contenuti, perché siamo continuamente bombardati da troppi contenuti, quindi scegliamo il più bello e l'altro "vorrà dire che non era importante". Tutt* occupato collettivi dare del fascista a caso